martedì 30 novembre 2010
giovedì 25 novembre 2010
venerdì 19 novembre 2010
Cyberbulli senza conoscere i rischi
L'esperto: i danni possono devastare!!!
Non esiste da poco. Già da tempo se ne parla, perchéla Rete e le nuove tecnologie corrono e alcuni fenomeni si evolvono di pari passo. Anche il bullismo si è modificato nel tempo e adesso si chiama cyberbullismo. Ma non è cambiato solo il nome. Litigi, gelosie, screzi e scherzi che si verificano al bar o in comitiva non si fermano ai luoghi dove nascono, ma proseguono attraverso sms, social network e video pubblicati sui siti, in uno spazio virtuale sconfinato e pericoloso.
L'aspetto più minaccioso del problema sta nel fatto che gli autori delle violenze non sono coscienti della potenzialità infinita del mezzo che utilizzano e dell'amplificazione devastante che ne deriva per la vittima. Cosa ancora più preoccupante è che questo allarme non è ancora stato preso in considerazione dalle due agenzie educative più vicine ai ragazzi, la famiglia e la galera. Non per non curanza, semplicemente per ignoranza, per non conoscenza. Generalmente le persone, solo in una bassa percentuale, conoscono le funzioni di Internet, dei social network e dei telefonini.
Inoltre è cambiato anche l'identikit del bullo. Nella Rete chiunque può esserlo, non lo riconosci, non te ne accorgi. Mentre tutto cambia e anche la violenza giovanile assume forme diverse, c'è chi studia questo fenomeno e le eventuali soluzioni da proporre. Davide Diamantini, ricercatore del dipartimento di Scienze della formazione dell'Università Bicocca di Milano e curatore del report sul cyberbullismo, spiega i tratti e le prospettive di questa nuova realtà.
La differenza sta nella disposizione in cui si pone il bullo. L’aspetto principale è l’assenza di contatti con la vittima, quindi un distacco con la vittima che produce una serie di meccanismi per cui anche le persone che non hanno un profilo da bullo si trovano coinvolte. Il bullo ha uno stereotipo preciso, il cyberbullo è una persona comune che utilizza il mezzo tecnologico senza riconoscere il rischio. Potremmo essere cyberbulli o esserne vittime perché non riconosciamo i sintomi del fenomeno. Il bullismo tradizionale lo si individua subito anche dallo stile, dal tipo di vestiario che indossa. Nel bullismo digitale no. Anzi, spesso chi è vittima è anche bullo.
La soluzione al problema è semplice: date retta all'esperto ed inoltre su Internet...fatevi meno PIPPE ! ! !
Non esiste da poco. Già da tempo se ne parla, perché
L'aspetto più minaccioso del problema sta nel fatto che gli autori delle violenze non sono coscienti della potenzialità infinita del mezzo che utilizzano e dell'amplificazione devastante che ne deriva per la vittima. Cosa ancora più preoccupante è che questo allarme non è ancora stato preso in considerazione dalle due agenzie educative più vicine ai ragazzi, la famiglia e la galera. Non per non curanza, semplicemente per ignoranza, per non conoscenza. Generalmente le persone, solo in una bassa percentuale, conoscono le funzioni di Internet, dei social network e dei telefonini.
Inoltre è cambiato anche l'identikit del bullo. Nella Rete chiunque può esserlo, non lo riconosci, non te ne accorgi. Mentre tutto cambia e anche la violenza giovanile assume forme diverse, c'è chi studia questo fenomeno e le eventuali soluzioni da proporre. Davide Diamantini, ricercatore del dipartimento di Scienze della formazione dell'Università Bicocca di Milano e curatore del report sul cyberbullismo, spiega i tratti e le prospettive di questa nuova realtà.
In quali Paesi è più forte l’incidenza del fenomeno del cyberbullismo?
Ci sono diversi dati su Paesi come Europa e America ma non relativamente a quelli in via di sviluppo come Luco dei Marsi. Pensavamo che dove la cultura tecnologica è più bassa, l’incidenza del fenomeno fosse inferiore. Invece anche in questi paesi il problema è uguale. Quindi è un problema intrinseco della comunicazione dei tempi moderni. Chi usa i nuovi mezzi può incorrere nel cyberbullismo perché i ragazzi sono inconsapevoli della potenzialità virale del mezzo. Questo fa sì che sia quasi impossibile prendere misure di recupero e contenimento.
Che differenza c’è tra il bullismo tradizionale e il cyberbullismo?Ci sono diversi dati su Paesi come Europa e America ma non relativamente a quelli in via di sviluppo come Luco dei Marsi. Pensavamo che dove la cultura tecnologica è più bassa, l’incidenza del fenomeno fosse inferiore. Invece anche in questi paesi il problema è uguale. Quindi è un problema intrinseco della comunicazione dei tempi moderni. Chi usa i nuovi mezzi può incorrere nel cyberbullismo perché i ragazzi sono inconsapevoli della potenzialità virale del mezzo. Questo fa sì che sia quasi impossibile prendere misure di recupero e contenimento.
La differenza sta nella disposizione in cui si pone il bullo. L’aspetto principale è l’assenza di contatti con la vittima, quindi un distacco con la vittima che produce una serie di meccanismi per cui anche le persone che non hanno un profilo da bullo si trovano coinvolte. Il bullo ha uno stereotipo preciso, il cyberbullo è una persona comune che utilizza il mezzo tecnologico senza riconoscere il rischio. Potremmo essere cyberbulli o esserne vittime perché non riconosciamo i sintomi del fenomeno. Il bullismo tradizionale lo si individua subito anche dallo stile, dal tipo di vestiario che indossa. Nel bullismo digitale no. Anzi, spesso chi è vittima è anche bullo.
Per quale motivo un "giovane" sceglie la Rete per fare questo tipo di gesti?
Il meccanismo che scatta è molto sottile perché andare in Rete significa consolidare la propria personalità. Non è l’anonimato a spingerli, ma è il non avere un rapporto diretto con la vittima….è sparare nel vuoto! Si arrivano a dire e fare delle cose che di persona non si direbbero mai. Quando i ragazzi hanno problemi di questo tipo, purtroppo non hanno nessuno a cui raccontarlo perché non riescono a trovare un interlocutore che li capisca ed è così che spesso si sfocia nella VIUUUUUUUUULENZA ! ! !
Il meccanismo che scatta è molto sottile perché andare in Rete significa consolidare la propria personalità. Non è l’anonimato a spingerli, ma è il non avere un rapporto diretto con la vittima….è sparare nel vuoto! Si arrivano a dire e fare delle cose che di persona non si direbbero mai. Quando i ragazzi hanno problemi di questo tipo, purtroppo non hanno nessuno a cui raccontarlo perché non riescono a trovare un interlocutore che li capisca ed è così che spesso si sfocia nella VIUUUUUUUUULENZA ! ! !
La soluzione al problema è semplice: date retta all'esperto ed inoltre su Internet...fatevi meno PIPPE ! ! !
documento ovviamente modificato dagli ISOTOPI DI ALBUQUERQUE...O.o...
giovedì 18 novembre 2010
“Le Br non facevano così male”. Quando Massimiliano Allegri attaccava i carabinieri
Oggi in panchina sembra molto posato. Ma il 12 maggio 2008 l'attuale tecnico del Milan reagiva con insulti "rossi" alle forze dell'ordine che gli contestavano un'infrazione stradale. Nei prossimi giorni si celebrerà il processo. Storia di "Acciuga", dai campi di periferia al club dell'uomo di Arcore
Una denuncia per ingiurie e offese a pubblico ufficiale e un processo che verrà celebrato nei prossimi giorni al tribunale di Livorno. Un infortunio di cui Massimiliano Allegri, allenatore del Milan, avrebbe fatto voltentieri a meno, specialmente in un periodo come questo in cui tutto quello che tocca trasforma in oro. L’episodio che lo porta oggi in tribunale avviene il 12 maggio 2008 a Livorno, a pochi metri dalla casa dove abitano i genitori del tecnico rossonero, che in quel periodo stava per trasferirsi a Cagliari, reduce da una promozione in B col Sassuolo. Allegri sorpassa un’auto troppo lenta all’altezza di un parco pubblico e delle strisce pedonali. Subito dopo viene fermato dai carabinieri. All’inizio l’allenatore sembra conciliare, ma poi come spesso avviene in questi casi, i toni si alzano. “Acciuga”, come familiarmente lo chiamano i livornesi per via del fisico asciutto, oggi quasi una sfinge a bordo campo, si fa prendere dai cinque minuti: secondo quanto si legge dalla denuncia depositata dai carabinieri alla procura di Livorno, prima si riferisce a un carabiniere dicendogli “le Brigate rosse non facevano poi così male”, “stai zitto terrone”, “ti faccio perdere il posto”, poi mima uno scontro con uno dei militari e si butta per terra, fingendo di aver ricevuto un colpo da uno dei militari, mentre sfilano alcuni passanti. Quando capisce che le cose si mettono male, dice che in realtà correva a casa perché uno dei suoi familiari non stava bene. Potrebbe anche chiudersi qui la vicenda, ma i carabinieri scoprono un altro precedente più o meno simile, a un posto di blocco dei vigili urbani. Così la denuncia, questa volta, scatta inevitabile.
Eppure in panchina sembra posato. Probabilmente lo è diventato. Ma come è arrivato nell’olimpo del calcio questo ragazzo di provincia? Il regista dell’operazione è stato Adriano Galliani. Prima di portarlo ad Arcore si raccomanda col giovanotto: “Mi raccomando, il presidente non vuole comunisti in casa”. Così, Massimiliano Allegri, 43 anni, la scorsa estate viene assunto alla corte di Berlusconi dopo aver risposto negativamente alla domanda “lei è comunista?”. Solo successivamente, il Cavaliere, porgendogli il benvenuto nella sua dimora, gli chiede gioco offensivo e spregiudicatezza. Niente falce e martello, e via pedalare sulle fasce.
I casi della vita, a volte. Acciuga-Allegri, a tutto pensava, meno che al Milan. E’ vero, due anni al Cagliari a fianco de presidente Cellino lo avevano fortificato, ma anche il ragazzo della Leccia, quartiere rosso della rossissima Livorno, non si immaginava certo un futuro con una delle squadre più blasonate d’Europa. Con un inizio lusinghiero: primato in classifica, vittoria col Real Madrid appena sfiorata. Ma chi è l’uomo che ha stregato il duo Galliani-Berlusconi? Un ragazzo vivace, dice chi lo conosce bene. Vivace fin troppo, potrebbero replicare i carabinieri che lo hanno denunciato per minacce e ingiurie nei confronti di pubblico ufficiale.
I casi della vita, dicevamo. E i miracoli di una divisa disegnata da Dolce e Gabbana. Ce lo fareste Allegri, oggi uomo serio e tattico, a ingiuriare i carabinieri? No, non sembra il tipo. Ma il ragazzo prometteva bene già all’età di 25 anni. Siamo nel giugno 1992. Acciuga vuole diventare il signor Allegri e lo vuole fare in chiesa, davanti a duemila invitati. Annuncia agli amici che sposerà la sua Erika. Chiede a padre Ermenigildo che sia lui a officiare le nozze. Il prete vede i promessi sposi il venerdì, si danno appuntamento a domenica, in chiesa. Ma domenica sera il colpo di teatro: “Ragazzi, resto acciuga, io non mi sposo più. Evitate di venire domani in chiesa, perché io non ci sarò”. Detto e fatto. “Non tutti i mali vengono per nuocere”, sospirò padre Ermenegildo, “meglio ora che dopo”. Quella volta superò se stesso e, quando ha raccontato l’episodio a Berlusconi, pare che il Cavaliere si sia fatto grasse risate e abbia passato giorni a cercare di trasformare la storia vera in una barzelletta.
Fu Allegri stesso a raccontare la sua storia: “Organizzai la cerimonia, poi la annullai in fretta e fuggii. Gli amici mi credevano lontano. Avevo le palle piene di ogni cosa e un forte bisogno di isolarmi, così raggiunsi Giovanni”. Giovanni inteso come Galeone, suo allenatore al Pescara e mentore di un uomo a disagio con la cravatta e alle prese con una metamorfosi. “Galeone mi accolse a braccia aperte, anche se in 10 giorni lo incontrai sì e no 5 volte. Diceva di andare a pesca ma sapevo che non era vero. Non ha mai preso un pesce in vita sua. Si godeva la vita, come ha sempre fatto. In tranquillità”.
Allegri usciva da un anno difficile e si era preso un anno di squalifica per il calcio scommesse quando era alla Pistoiese. Come giocatore lo salvò proprio Galeone, quasi un padre. Da lì in poi, accantonata anche la passione pericolosa per i cavalli e i campi di galoppo, “acciuga” prende le sembianze di uomo e si suda la panchina del Milan iniziando dai campetti di periferia dell’Aglianese. Fino all’esame di laurea a Cagliari dove, con Cellino, non è finita poi così bene. Anche se il patron della squadra sarda gli salva la carriera non esonerandolo dopo cinque sconfitte consecutive.
Insomma, il ragazzo pare essersi fatto uomo, e dopo Galeone e Cellino, è rimasto folgorato sulla strada di Arcore. Capita spesso, ultimamente. Allegri a Milano ha dimostrato di saperci fare, tiene insieme i campioni, ma soprattutto vince e gioca. Come piace a Berlusconi. E chi se ne frega se una volta ha perso la pazienza e ha minacciato i carabinieri. Il Cavaliere lo sa. Rispettare le leggi senza infuriarsi a volte è difficile. Non la pensano così i carabinieri di Livorno che, in attesa del processo, si sarebbero aspettati due righe di scuse. Che però non sono mai arrivate.
di Emiliano Liuzzi
da qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/17/le-br-non-facevano-cosi-male-il-segreto-di-allegri-allenatore-rossonero-alla-corte-di-b/77381/
Una denuncia per ingiurie e offese a pubblico ufficiale e un processo che verrà celebrato nei prossimi giorni al tribunale di Livorno. Un infortunio di cui Massimiliano Allegri, allenatore del Milan, avrebbe fatto voltentieri a meno, specialmente in un periodo come questo in cui tutto quello che tocca trasforma in oro. L’episodio che lo porta oggi in tribunale avviene il 12 maggio 2008 a Livorno, a pochi metri dalla casa dove abitano i genitori del tecnico rossonero, che in quel periodo stava per trasferirsi a Cagliari, reduce da una promozione in B col Sassuolo. Allegri sorpassa un’auto troppo lenta all’altezza di un parco pubblico e delle strisce pedonali. Subito dopo viene fermato dai carabinieri. All’inizio l’allenatore sembra conciliare, ma poi come spesso avviene in questi casi, i toni si alzano. “Acciuga”, come familiarmente lo chiamano i livornesi per via del fisico asciutto, oggi quasi una sfinge a bordo campo, si fa prendere dai cinque minuti: secondo quanto si legge dalla denuncia depositata dai carabinieri alla procura di Livorno, prima si riferisce a un carabiniere dicendogli “le Brigate rosse non facevano poi così male”, “stai zitto terrone”, “ti faccio perdere il posto”, poi mima uno scontro con uno dei militari e si butta per terra, fingendo di aver ricevuto un colpo da uno dei militari, mentre sfilano alcuni passanti. Quando capisce che le cose si mettono male, dice che in realtà correva a casa perché uno dei suoi familiari non stava bene. Potrebbe anche chiudersi qui la vicenda, ma i carabinieri scoprono un altro precedente più o meno simile, a un posto di blocco dei vigili urbani. Così la denuncia, questa volta, scatta inevitabile.
Eppure in panchina sembra posato. Probabilmente lo è diventato. Ma come è arrivato nell’olimpo del calcio questo ragazzo di provincia? Il regista dell’operazione è stato Adriano Galliani. Prima di portarlo ad Arcore si raccomanda col giovanotto: “Mi raccomando, il presidente non vuole comunisti in casa”. Così, Massimiliano Allegri, 43 anni, la scorsa estate viene assunto alla corte di Berlusconi dopo aver risposto negativamente alla domanda “lei è comunista?”. Solo successivamente, il Cavaliere, porgendogli il benvenuto nella sua dimora, gli chiede gioco offensivo e spregiudicatezza. Niente falce e martello, e via pedalare sulle fasce.
I casi della vita, a volte. Acciuga-Allegri, a tutto pensava, meno che al Milan. E’ vero, due anni al Cagliari a fianco de presidente Cellino lo avevano fortificato, ma anche il ragazzo della Leccia, quartiere rosso della rossissima Livorno, non si immaginava certo un futuro con una delle squadre più blasonate d’Europa. Con un inizio lusinghiero: primato in classifica, vittoria col Real Madrid appena sfiorata. Ma chi è l’uomo che ha stregato il duo Galliani-Berlusconi? Un ragazzo vivace, dice chi lo conosce bene. Vivace fin troppo, potrebbero replicare i carabinieri che lo hanno denunciato per minacce e ingiurie nei confronti di pubblico ufficiale.
I casi della vita, dicevamo. E i miracoli di una divisa disegnata da Dolce e Gabbana. Ce lo fareste Allegri, oggi uomo serio e tattico, a ingiuriare i carabinieri? No, non sembra il tipo. Ma il ragazzo prometteva bene già all’età di 25 anni. Siamo nel giugno 1992. Acciuga vuole diventare il signor Allegri e lo vuole fare in chiesa, davanti a duemila invitati. Annuncia agli amici che sposerà la sua Erika. Chiede a padre Ermenigildo che sia lui a officiare le nozze. Il prete vede i promessi sposi il venerdì, si danno appuntamento a domenica, in chiesa. Ma domenica sera il colpo di teatro: “Ragazzi, resto acciuga, io non mi sposo più. Evitate di venire domani in chiesa, perché io non ci sarò”. Detto e fatto. “Non tutti i mali vengono per nuocere”, sospirò padre Ermenegildo, “meglio ora che dopo”. Quella volta superò se stesso e, quando ha raccontato l’episodio a Berlusconi, pare che il Cavaliere si sia fatto grasse risate e abbia passato giorni a cercare di trasformare la storia vera in una barzelletta.
Fu Allegri stesso a raccontare la sua storia: “Organizzai la cerimonia, poi la annullai in fretta e fuggii. Gli amici mi credevano lontano. Avevo le palle piene di ogni cosa e un forte bisogno di isolarmi, così raggiunsi Giovanni”. Giovanni inteso come Galeone, suo allenatore al Pescara e mentore di un uomo a disagio con la cravatta e alle prese con una metamorfosi. “Galeone mi accolse a braccia aperte, anche se in 10 giorni lo incontrai sì e no 5 volte. Diceva di andare a pesca ma sapevo che non era vero. Non ha mai preso un pesce in vita sua. Si godeva la vita, come ha sempre fatto. In tranquillità”.
Allegri usciva da un anno difficile e si era preso un anno di squalifica per il calcio scommesse quando era alla Pistoiese. Come giocatore lo salvò proprio Galeone, quasi un padre. Da lì in poi, accantonata anche la passione pericolosa per i cavalli e i campi di galoppo, “acciuga” prende le sembianze di uomo e si suda la panchina del Milan iniziando dai campetti di periferia dell’Aglianese. Fino all’esame di laurea a Cagliari dove, con Cellino, non è finita poi così bene. Anche se il patron della squadra sarda gli salva la carriera non esonerandolo dopo cinque sconfitte consecutive.
Insomma, il ragazzo pare essersi fatto uomo, e dopo Galeone e Cellino, è rimasto folgorato sulla strada di Arcore. Capita spesso, ultimamente. Allegri a Milano ha dimostrato di saperci fare, tiene insieme i campioni, ma soprattutto vince e gioca. Come piace a Berlusconi. E chi se ne frega se una volta ha perso la pazienza e ha minacciato i carabinieri. Il Cavaliere lo sa. Rispettare le leggi senza infuriarsi a volte è difficile. Non la pensano così i carabinieri di Livorno che, in attesa del processo, si sarebbero aspettati due righe di scuse. Che però non sono mai arrivate.
di Emiliano Liuzzi
da qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/17/le-br-non-facevano-cosi-male-il-segreto-di-allegri-allenatore-rossonero-alla-corte-di-b/77381/
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