E’ possibile dare una spiegazione che risulti esaustiva, precisa, universalmente condivisa, insomma razionale? Dopo aver analizzato come la ragione possa diventare strumento di violenza, è interessante vedere come essa, come facoltà di comprensione della realtà, debba accettare dei limiti imposti dalla realtà stessa. Dopo la morte del Fhurer, tutta la letteratura posteriore si è assiduamente impegnata nel tentativo di fornire ad una generazione alquanto spaventata e terrorizzata dalla barbarie del nazismo, una spiegazione ragionevole o perlomeno accettabile dell’ ascesa di un personaggio così controverso e “ semplicemente malvagio “ quale Adolf Hitler. Nonostante ciò, tutti i tentativi attuati e le relative spiegazioni non hanno fatto altro che alimentare dubbi e perplessità.
Dopo il trionfo delle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud, il primo territorio in cui si è cercato di trovare una spiegazione al fenomeno Hitler è stato proprio quello della psicologia e della psicoanalisi. Prendendo spunto soprattutto dal famoso libro “ Mein kampf “, gli psicoanalisti hanno svolto approfonditi studi sull’ infanzia di Hitler che hanno portato la critica ad affermare che il fhurer fosse stato pesantemente condizionato dalle questioni familiari presenti fino alla sua ascesa al potere: il punto di partenza è sicuramente la constatazione della presenza del cosiddetto Complesso di Edipo; moltissimi studiosi ritengono infatti che Hitler avesse individuato nel padre un nemico da combattere e da abbattere: in questo senso, la sensazione di ribellione di Hitler verso l’ austerità e la bigotteria del padre sono diventate simbolo di una emancipazione nuova.
L’ adolescente della Germania pre-nazista, destinato a divenire non un pazzo, bensì il male quasi estremo, partiva dunque dalla creazione di una nuova identità più forte, che contrastasse la figura del padre: GIOAKKINEN HITLER (qui sotto in una foto dell'epoca) . . .
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